L' eBook inedito di CastelloVolante FACEBOOK SCORIES continua ad essere un successo,
ma nonostante il concorso da noi promosso sia ormai chiuso da tempo, nuovi racconti facebookiani saltano fuori dal web, ed e' per questo che abbiamo deciso di pubblicare qua un nuovo racconto...
l’amore ai tempi di facebook
di Veronica Giuffrè
Ricordo ancora il pomeriggio in cui trovammo finalmente il coraggio di provare. Eravamo a casa di Mario, la connessione lenta e un pc portatile scassato con lo schermo a righe e l’alimentatore che non potevi azzardarti a sfiorarlo, perché rischiavi che la zebratura delle immagini prendesse il sopravvento fino a rendere definitivamente irriconoscibile la composizione astratta di pixel bruciati che avevamo imparato a decifrare. Ci ostinavamo a chiamarlo “portatile”, quel relitto cibernetico rumoroso e caldo che non potevi portarlo effettivamente da nessuna parte, pesante e incatenato com’era alla presa di corrente. A Mario non mancavano i fondi per comprarne uno nuovo – sottile, leggero, portatile per davvero –, ma un po’ per pigrizia, un po’ perché quel perenne ronzio disperato aveva finito per inserirsi nei nostri discorsi e riempirne i silenzi, nessuno di noi aveva voglia di cambiare lo stato di cose in cui la routine ci aveva incasellati.
A casa di Mario, dicevo. Mario, Giacomo, Fabrizio ed io. A scuola ci avevano detto che quel posto era mitico, potevi conoscere una cifra di gente nuova. A noi interessavano quasi esclusivamente le ragazze, le più fiche e irraggiungibili della scuola, perché di amici ne avevamo già abbastanza: il nostro quartetto era più che sufficiente. Sotto il punto di vista dei rapporti con l’universo femminile, invece, la nostra vita era un vero disastro. Ci eravamo convinti di aver sopportato abbastanza e che fosse giunto il momento del riscatto del karma alla triste realtà in cui eravamo impantanati. Noi quattro, poco interessanti come ci rendevano l’acne, gli occhiali spessi e gli scolli rotondi delle magliette – nerd, per l’esattezza, ci chiamavano –, le ragazze non ci si filavano di pezza.
Avevamo iniziato i preparativi con largo anticipo: un quintale di gel appiccicoso nei capelli e le pance in dentro, avevamo allestito un set fotografico di pose accattivanti di fronte allo specchio del bagno, scattate rigorosamente col cellulare. Non che ci piacesse l’idea di rendere di pubblico dominio l’arredamento della toilette – anzi, ci sentivamo dei perfetti idioti a guardarci dentro lo specchio cercando di non strizzare gli occhi perché senza occhiali non riuscivamo neppure a centrare l’inquadratura –, ma eravamo disposti a qualunque sacrificio pur di dare una svolta alla nostra esistenza penosa. In un paio di giorni il nostro profilo fu pronto. Un solo profilo, avete capito bene, perché Giacomo – che in questo genere di cose vantava più esperienza – suggerì che, tutti insieme, saremmo stati irresistibili come le rock band che facevano impazzire le ragazze della nostra età. Poco importava che non fossimo capaci di suonare né di cantare, ci rassicurò sempre Giacomo alla prima obiezione di Fabrizio, il quale non mancò di sottolineare che – a parte conoscere tutta la letteratura fantasy mai scritta e saper intavolare una conversazione in elfico fluente – non avevamo altri talenti speciali. Ci eravamo convinti che saremmo diventati popolari per il nostro umorismo sagace, la prontezza di spirito e l’amabile galanteria. Da che mondo è mondo le donne non desiderano altro che le attenzioni di corteggiatori romantici, e i nostri coetanei rozzi, che facevano patire loro le più atroci pene d’amore, non brillavano certo per educazione o proprietà di linguaggio.
Ci immaginavamo già una pagina pubblica intasata da migliaia di “mi piace”, commenti cuoriciosi ai nostri album fotografici, messaggi d’amore, fiumi di richieste di amicizia. I primi giorni, in realtà, non ottennero i risultati sperati: quell’impietoso 0 perenne in alto a destra nella pagina sembrava volerci fare desistere, ma noi aspettavamo pazienti il successo vero, quello lento e duraturo che ti rende per il resto della vita qualcuno che conta davvero. Dopo tredici giorni, 6 ore e una manciata di minuti dal nostro ingresso nella realtà virtuale, le nostre speranze furono ricompensate: una richiesta di amicizia! Era come vedere un sogno realizzato: quattro ragazze – e che ragazze! – ci avevano finalmente notati, avevano scelto noi nella straripante popolazione dell’oceano infinito della rete.
Furono i giorni più elettrizzanti della nostra adolescenza. Ci scambiammo sonetti traboccanti di passione, conversazioni sognanti al chiaro di luna, messaggi privati ricchi di saccarosio che nemmeno lo zucchero filato. Eravamo impazienti di organizzare un incontro che trasportasse quella stupefacente magia dentro i contorni del mondo reale, così decidemmo di organizzare un vero appuntamento. Quattro più quattro, una formazione perfetta per un intreccio d’amore eterno e indissolubile. Potevamo già vedere i lineamenti dei nostri bambini e sentire il fruscio delle code dei labrador scodinzolanti, il quadretto ideale che la migliore cinematografia americana ci aveva trapiantato nell’immaginario. Animati da questi sogni e sostenuti reciprocamente da colpetti fieri sulle spalle, ci avviammo baldanzosi verso la meta. Avreste dovuto vedere che eleganza! L’amore ci aveva resi più belli e sicuri di noi stessi, eravamo quattro gentiluomini agghindati di tutto punto, pronti a incontrare ciascuno la rispettiva compagna della propria vita.
Nessuno di noi era mai stato sfiorato dall’idea di cercare delle crepe nel perfetto sistema che avevamo costruito. Ci avevamo creduto fino all’ultimo istante, con la convinzione e lo slancio di cui solo l’amore vero rende capaci. Ve la farò breve: alla gelateria di Via del Corso, invece che le nostre giovani donne, trovammo ad accoglierci una schiera di perfidi compagni di classe sghignazzanti. I gelati ce li tirarono addosso, cantilenando in coro come in un mottetto a dodici, cento, mille voci: sfigati!